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19 Aprile 2024 / 11:37
Agricoltura 2.0, le mille esperienze con il digitale

 
Fintech

Agricoltura 2.0, le mille esperienze con il digitale

di Ildegarda Ferraro - 9 Giugno 2014
Sono sempre di più le fattorie che vivono tra green economy e big data. Alle prospettive della cultura bio, dell’e-commerce e dei social network si accompagnano sul fronte opposto gli aspetti più spinti della “piantagione prescrittiva”, dove niente è affidato al caso ma regna sovrano l’algoritmo per scegliere il terreno, i semi e la coltivazione …
Plastica biologica, che invece di inquinare i terreni può renderli più ricchi trasformandosi in concime naturale (approfondisci). Droni usati per controllare la maturazione dei pomodori e verificare le condizioni del suolo (approfondisci). Una bottiglia di vino il cui costo ambientale viene azzerato producendo energia (approfondisci). E ancora: coltura idroponica a basso consumo, ossia coltivazioni in acqua innovative; no-till farming, dove si coltiva senza aratro (approfondisci). Ero rimasta conquistata dalle nuove prospettive dell’agricoltura.

L'agricoltura è connessa

C’è solo l’imbarazzo della scelta nelle iniziative che vedono la terra come uno dei mestieri del futuro da declinare con paradigmi nuovi. Produzioni biologiche vendute con e-commerce, luoghi nuovi per culture a kilometro 0 in città (leggi), il cibo in primo piano tra tradizione e innovazione. Basta andare su Google e digitare agricoltura 2.0 per avere a disposizione un mondo di idee e progetti, dalle start up più innovative ai siti dove strutture istituzionali sul web mettono in contatto aziende e chi può essere interessato a lavorare in campagna (leggi).
Alberto Magnani su Nova 24 del Sole 24 racconta che “i giovani incrociano vecchio e nuovo nell’agricoltura, filone in ascesa nelle aziende capitanate dagli imprenditori di ultima generazione”. E parla di “exploit delle quasi 11.500 start up di settore registrate l’anno scorso, i titolari con meno di 30 anni di età sono più del 17%”. Tutto quello che ha a che fare con la formazione universitaria in questo campo vede numeri in costante crescita: le iscrizioni salgono del 18,6% per scienze agrarie e forestali, del 23% a scienze alimentari, del 43% per zootecnia e scienze della produzione alimentare.

Impresa nuova e “contadino giovane”.

L’azienda legata alla terra cambia: e-commerce, social network e nuovi mercati fanno la differenza. Sono stata più volte tentata dal comprare un orto sul web, nel senso di costruirmi passo per passo uno spazio virtuale da cui avere prodotti freschi, che rispettano il ritmo delle stagioni (leggi qui). Il biologico nelle nuove start-up legate alla terra va molto bene. Cambia anche l’imprenditore agricolo. L’età media scende anche sotto i 30 e i 25 anni. Magnani dice che: “c’è un tasso di scolarità più selettivo di un tempo, con un grado di istruzione che include formazione superiore e universitaria. Se quasi la metà degli imprenditori agricoli over 50 si fermava alla licenza elementare, chi sogna una start up nel 2014 ha quasi sempre intascato diploma, laurea e – magari – una specializzazione in più”. E così compaiono nuovi contadini ingegneri o psicologi di fattorie didattiche. Scrive Luca De Biase che “l'innovazione è proposta da un ecosistema di mestieri. Specialisti del gusto e ingegneri dell'energia lavorano a fianco degli scienziati che si occupano di ecologia e genetica, meterologia e geologia, storia e cultura. La cura del territorio è alle radici dello storytelling turistico, come la gastronomia e la sicurezza alimentare”.

Il lato oscuro della “prescriptive planting”

Non manca il lato oscuro del digitale. L’agricoltura innovativa non è solo agili start up, che tutelano il biologico, e fanno cose intelligenti con tecnologia d’avanguardia. Può essere anche grandi imprese e tecnologia molto invasiva. Ne ha parlato di recente anche l’Economist. L’idea di “piantagione prescrittiva” genera qualche nervosismo. In sostanza si tratta di un sistema che definisce con grande precisione che semi piantare, dove, come coltivarli in ogni specifico terreno. “Potrebbe essere – dice l’Economist – il più grande cambiamento in agricoltura nei paesi ricchi dopo le colture geneticamente modificate”. È chiaro che il tema è controverso e solleva profondi interrogativi su chi possiede le informazioni su cui si basa il processo. Grandi multinazionali sono in campo. I vantaggi posso essere evidenti, con crescita dei rendimenti di anno in anno, ma altrettanto palesi sono i dubbi degli agricoltori verso processi che tendono ad annullare la competenza, il margine della scelta e l’abilità. E poi c’è la profonda preoccupazione che il flusso di dati possa influire sull’acquisto di aziende e sulla concorrenza. L’American Farm Bureau, una delle più grandi organizzazioni di agricoltori e allevatori, sta lavorando ad un codice di condotta, chiarendo che gli agricoltori possiedono e controllano i propri dati e che ci sono limiti per l’utilizzo delle informazioni da parte delle aziende. Si tratta di confini difficili da marcare nettamente. La speranza è che il lato oscuro non diventi invasivo.
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