Cambiamento obbligatorio
di Maddalena Libertini
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12 Gennaio 2012
Dai modelli da ripensare ai settori su cui investire: le sfide che attendono le banche
Intraprendere con decisione il cambiamento per affrontare in modo efficace le sfide del nuovo scenario economico: è questa l’indicazione di fondo emersa dall’intensa due giorni del decimo convegno “Costi & Business”, l’appuntamento ABI dedicato alla gestione dell’impresa bancaria sotto il profilo economico. Un programma di lavoro serrato che ha trattato le tematiche dei modelli di business, del controllo della gestione dei processi, del monitoraggio dei costi, della valorizzazione delle risorse e soprattutto della valutazione delle strategie grazie al confronto tra gli interventi accademici e le esperienze sul campo riportate da banche e aziende. Un appuntamento arricchito dai dati del rapporto annuale dell’Osservatorio ABI Costing Benchmark che, resi pubblici in questa occasione da
Maria Luisa Giachetti
dell’Ufficio Analisi Economiche dell’ABI, hanno rappresentato una concreta e significativa base di confronto e dibattito (si veda l’intervista a Giachetti pubblicata a pag. 45)
Un contesto difficile
Considerazione comune è stata l’urgenza, in questo frangente economico mondiale e nazionale, di condividere una riflessione sugli interventi da mettere in atto per il recupero dei profitti e il contenimento dei costi. Senza mezzi termini, in apertura di convegno, il professor
dell’Università Bocconi, ha evidenziato le difficoltà di scenario che le banche italiane si trovano a fronteggiare. L’azzeramento dello sviluppo atteso del Pil, la pressione sul costo della provvista, il costo della regolamentazione rallentano la performance delle banche italiane. La caduta del Roe è comune in tutta Europa, ma con una flessione più contenuta. In Italia nel biennio 2009- 2010, il Roe medio è stato tra 3,4% e 3,8% mentre il rapporto cost/income è salito da 62,4 a 65,6%. C’è la necessità di individuare le condizioni per ristabilire un livello di redditività sostenibile. Il contesto pone le banche, ma anche i fornitori, di fronte a una sfida: come operare una seria contrazione delle spese senza abbassare il livello e la qualità dei servizi?
Imparare dal passato
Il FMI ha analizzato 122 recessioni dal 1960 ad oggi, rilevando che la quasi totalità di queste crisi è stata di natura congiunturale, di breve durata, con un decremento del Pil del 2% e una conseguente battuta d’arresto dei consumi, pronti però a ripartire. La recessione attuale è una crisi strutturale che sta alterando profondamente le regole del gioco, molto più lunga rispetto alle precedenti, non grave come la crisi del 1929 ma nemmeno leggera come tutte quelle che l’hanno preceduta. Per fornire delle chiavi di interpretazione su come affrontarla,
dell’Università Bocconi ha riportato i risultati di una ricerca che ha analizzato la performance di 4700 aziende rispetto a tre crisi congiunturali, degli anni ottanta, novanta ed inizio duemila. Il 17% delle imprese non sono sopravvissute, il 74% è sopravvissuto ma non è riuscito a tornare ai livelli precrisi, solo il 9% ha ripreso conseguendo risultati migliori rispetto a prima. Le imprese uscite vincitrici non sono quelle che avevano contratto i costi più delle altre, ma quelle che avevano combinato strategie difensive e offensive, ovvero compiuto la riduzione dei costi per la sopravvivenza nel presente contemporaneamente a strategie di investimento per progettare il futuro. La ricerca indica anche come queste aziende siano intervenute sui costi in modo estremamente selettivo e non lineare, focalizzandosi sul miglioramento dell’efficienza operativa, investendo in processi di ricerca e sviluppo. Una strategia fortemente protettiva con tagli radicali dei costi ha dimostrato di poter dare benefici di profitto nel breve termine, ma di indurre una riduzione della qualità, l’insoddisfazione dei clienti e la diffusione di un sentimento pessimista all’interno delle aziende. Al contrario le imprese vincenti non hanno ridotto il capitale intellettuale. Investire sui talenti, ha concluso Valdani, significa creare un clima di maggiore motivazione del personale e i presupposti per nuove generazioni di valore.
Razionalizzare la rete distributiva
Lo scenario è impegnativo ma da più parti è stata sottolineata l’occasione che ha il sistema bancario di cogliere le opportunità di miglioramento ed evoluzione dell’infrastruttura produttiva.
A
dello Studio Balestreri ha enucleato alcune possibili aree di intervento a partire dai risultati del rapporto ABI 2011: utilizzare i costi ricorrenti per tagliare e riconfigurare quelli non ricorrenti, incrementare le politiche di controllo dei costi operativi, studiare alleanze strategiche o ipotesi di aggregazione, specializzare le proprie aree di business, dotarsi di business unit elastiche e facilmente riconfigurabili rispetto all’andamento del mercato, ampliare le capacità di internet e della multicanalità di produrre redditività, sviluppare una cultura dell’investimento e soprattutto della valutazione degli investimenti. Per Forestieri la razionalizzazione della rete distributiva delle banche è una delle aree dove risiedono le maggiori opportunità per ridurre i costi e liberare risorse. Il sistema distributivo italiano rappresenta una singolarità nel panorama europeo per capillarità e numero di addetti. L’Italia è in ritardo rispetto agli altri paesi sia nel processo di ristrutturazione della rete che nello sviluppo della multicanalità: l’uso degli Atm è al 54% contro il 73% di media europea, internet è al 28% contro il 48%. La razionalizzazione delle reti deve essere quindi parte di una strategia multicanale. Il rapporto personalizzato offerto dallo sportello è ancora importantissimo, ma deve essere circoscritto alle fasi cruciali di consulenza e contrattualizzazione deviando le fasi meno importanti delle transazioni sugli altri canali.
Focus sul back office
“Il contesto è tale che la macchina, le operations sono in fermento per evolvere le proprie modalità di lavoro. C’è l’esigenza non solo di ridurre i costi ma anche i tempi di gestione e le anomalie, quindi standardizzare e industrializzare i processi”, ha aggiunto
, Segretario Generale del Consorzio ABI Lab, che ha identificato in esternalizzazione, automazione, dematerializzazione le tre principali leve per focalizzare le risorse interne sulle attività a maggior valore aggiunto, evidenziando al meglio le competenze specialistiche del back office. Si sta infatti diffondendo la percezione del ruolo sempre più rilevante del back office come “referente di processo” in una visione end-to-end, che prevede un’evoluzione nelle dinamiche di interazione con le altre strutture della banca, in particolare di maggiore integrazione con il front-end, nel miglioramento continuo del processo stesso. Le banche che si stanno muovendo attraverso un monitoraggio e una valutazione delle performance dei processi e della qualità del servizio stanno già ottenendo importanti margini di miglioramento.
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