Internazionalizzazione: la Cina è ancora più vicina
di Gaia, Sabino
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1 Dicembre 2010
Sei miliardi di euro per finanziare le esportazioni e gli investimenti italiani in Cina. È questo il plafond messo a disposizione dal settore bancario per le imprese che vogliono operare in questo paese che continua a crescere a ritmo sostenuto, e anche nel prossimo biennio farà registrare un tasso di sviluppo del 10%, contro il 7% dell’area asiatica e l’1-1,5% dell’area euro. Il dato è stato presentato dal direttore generale dell’ABI, Giovanni Sabatini, nel corso della missione economica in Cina organizzata a giugno 2010 dall’ABI con Confindustria e Ice. Si tratta della terza missione di banche e imprese italiane realizzata nel Paese dal 2004.
Il plafond per le imprese
Delle linee di credito messe a disposizione dalle banche italiane, circa 6 miliardi di euro, il 46% è già stato utilizzato per progetti ed iniziative di business nel mercato locale, mentre il restante 54% è ancora disponibile per finanziare nuove attività imprenditoriali in quest’area. Il plafond non prevede copertura assicurativa Sace in considerazione del basso livello di rischio Paese associato alla Cina e dell’affidabilità delle controparti locali.
La presenza delle banche italiane
In Cina si conta il maggior numero di banche italiane con una presenza diretta: nove tra i principali gruppi hanno aperto 22 uffici di rappresentanza e 7 filiali, distribuite nelle regioni più importanti (di queste, 4 filiali e 6 uffici sono ad Hong Kong). Due filiali già operano in valuta, mentre una terza sta aspettando l’autorizzazione per farlo. Alla presenza diretta si aggiunge una fitta rete di accordi di collaborazione sottoscritti da dieci gruppi italiani con le controparti cinesi, per facilitare l’ingresso della clientela nei rispettivi circuiti finanziari. Due banche italiane, inoltre, operano in stretto raccordo con le rispettive capogruppo estere che dispongono di proprie sussidiarie nei principali centri economici e finanziari cinesi.
Negli ultimi anni, infine, numerose sono state le acquisizioni realizzate nel mercato locale: nel 2006 Intesa SanPaolo ha fondato con due policy banks cinesi, il primo fondo di Private Equity che acquista partecipazioni in imprese italiane e cinesi di medie dimensioni, per favorirne la crescita in Europa e Cina. Nel 2007 ha acquisito il 19,99% di Qingdao City Commercial Bank ed il 19,9% di Union Life, una delle prime dieci compagnie di assicurazione cinesi. UBI Banca ha invece creato la prima società italo-cinese attiva nel comparto dell’asset management.
La delegazione bancaria
Alla missione economica in Cina hanno preso parte nove dei principali gruppi bancari che rappresentano due terzi del settore: Banca Mps, Bnl-Bnp Paribas, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banco Popolare, Banca Popolare di Vicenza, Cariparma–Credit Agricole, Intesa Sanpaolo–Bank of Qingdao, Ubi Banca, Unicredit.
Intervista a
- Cina: un futuro di opportunità per le banche italiane, ma vanno rimossi alcuni vincoli
L’internazionalizzazione rappresenta una sfida sempre nuova, ma anche un’importante opportunità da cogliere per le banche e le imprese italiane che scelgono di puntare sui paesi in via di sviluppo e sui mercati divenuti ormai strategici per l’economia italiana e mondiale. Tra questi, la Cina occupa un posto di primissimo piano anche grazie alle sue elevate performance di sviluppo: basti pensare che, nonostante la crisi internazionale, il tasso di crescita registrato nel primo trimestre 2010 ha raggiunto l’11,9%, mentre l’interscambio con l’estero è aumentato del 44% e gli investimenti fissi del 25%. Primo esportatore e seconda economia al mondo, la Cina è ormai il principale motore dell’economia globale. Anche per questo Abi, ICE e Confindustria hanno scelto di tornarvi per la terza volta dal 2004, con un folto gruppo di banche ed imprese. Ne parliamo con Giovanni Sabatini.
D. Direttore, in che quadro s’inserisce la missione imprenditoriale in Cina realizzata all’inizio dell’estate?
R. La missione in Cina – che si è conclusa con successo, sia in termini di relazioni politiche e commerciali che di incontri di business, realizzati nelle tre tappe di Chongqing, Shanghai e Pechino – va letta nella cornice più complessiva del sostegno dato dalle banche italiane
all’internazionalizzazione dell’economia del Paese. Questo sostegno corre lungo due binari paralleli, che sempre più spesso si intrecciano e si sovrappongono: quello dei finanziamenti alle attività di import-export e agli investimenti diretti all’estero, e quello delle acquisizioni e della presenza diretta sui mercati internazionali, ritenuti strategici per le imprese italiane. A livello di sistema, l’impegno del settore per l’internazionalizzazione si è tradotto anche in numerose iniziative e missioni, realizzate negli ultimi cinque anni da Abi con ICE e Confindustia in oltre 30 Paesi di quattro continenti, tra cui la Cina.
D. Cosa ha significato tornare in Cina per l’Abi e le banche italiane?
R. Anzitutto ha confermato come l’impegno delle banche italiane a supporto dell’internazionalizzazione non abbia subito battute d’arresto nonostante la difficile congiuntura economica. Inoltre, ci ha offerto l’opportunità di rafforzare collaborazioni e relazioni commerciali e produttive in un Paese importante, dove le nostre banche vogliono consolidare e accrescere la loro presenza già significativa. La Cina, infatti, è un mercato sempre più strategico per il commercio e l’economia mondiale, che nonostante la crisi internazionale continua a crescere a ritmi elevati, con un incremento del Pil nell’ordine del 10%.
D. Le imprese che vogliono avviare la propria attività in Cina possono contare sul sostegno delle nostre banche?
R. Certamente. In nessun’altra grande economia emergente le banche italiane dispongono di una presenza altrettanto numerosa e articolata. I principali gruppi bancari italiani, infatti, hanno aperto filiali e uffici di rappresentanza nelle più importanti regioni cinesi e, soprattutto negli ultimi anni, hanno moltiplicato le acquisizioni nel mercato locale e gli accordi di collaborazione con le controparti cinesi. Il sostegno del settore bancario italiano per le imprese che vogliono operare in Cina trova conferma anche sotto il profilo delle risorse messe a disposizione per finanziare esportazioni ed investimenti diretti. Le nostre banche, infatti, hanno già stanziato circa 6 miliardi di euro, oltre il 10% in più rispetto al plafond di 5,2 miliardi rilevato nel 2007.
D. Secondo lei, quale futuro c’è per le banche italiane in Cina?
R. Senz’altro un futuro di crescita che, però, non può prescindere da un ulteriore sforzo del Governo cinese per ampliare gli spazi concessi agli operatori esteri, attraverso la progressiva eliminazione delle disparità tuttora esistenti nel settore bancario e finanziario locale. Basti pensare che oggi solo il 2% del totale attivo del settore è riconducibile a gruppi stranieri, mentre l’80% è ancora in mano pubblica. E che, per aprire una filiale o operare in valuta, sono richiesti requisiti di capitalizzazione e liquidity ratios particolarmente gravosi e anni di attività nel mercato cinese, non sempre giustificabili sotto il profilo prudenziale. Solo la rimozione dei vincoli regolamentari che ancora limitano l’accesso e l’operatività delle banche estere nel mercato locale, dunque, potrà dare nuovo impulso per rafforzare la presenza delle banche italiane in Cina.