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29 Marzo 2024 / 05:30
Airbnb: Italia da record

 
Fintech

Airbnb: Italia da record

di Mattia Schieppati - 7 Luglio 2015
Il nostro Paese è il terzo al mondo nell'utilizzo della piattaforma che fa sharing di alloggi tra privati. Un fenomeno da 25,5 miliardi di dollari nato... sul divano
Di sicuro, quei tre materassi messi in affitto su un sito web creato per l'occasione, nel 2007, in un appartamento di tre giovani squattrinati di San Francisco, ha reso molto bene. Più o meno 25,5 miliardi di dollari, più della Marriott, una delle catene alberghiere più grandi al mondo e il doppio della valutazione dello storico portale di viaggi
Expedia
. A tanto ammonta, oggi, la capitalizzazione di Airbnb, la piattaforma che consente di affittare singole stanze o intere abitazioni che è uno dei modelli di maggior successo della cosiddetta sharing economy, l'economia fondata sullo scambio di beni tra privati. Fondato appunto nel 2007 da Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk, tre coinquilini che avevano l'immediato problema di raggranellare qualche spicciolo, il sito, poi azienda, è letteralmente esploso (gli ha dedicato un approfondimento il Wall Street Journal).
Oggi è un network che consente di trovare alloggio in 190 Paesi del mondo, oltre un milione le sistemazioni disponibili (erano 600mila un anno fa), e circa 40 milioni le persone che l'hanno sperimentato almeno una volta per i propri viaggi. Secondo gli analisti, il fatturato della piattaforma quest'anno dovrebbe aggirarsi attorno ai 900 milioni di dollari, ma dovrebbe arrivare a 10 miliardi nel 2020.
Il sistema di prenotazione è facile, chi prenota viene messo direttamente in contatto con il proprietario, con il quale può dialogare (via mail) chiedendo tutte le info necessarie, e sia i richiedenti che i locatari vengono valutati in base alle precedenti esperienze e quindi il motore, attraverso il contributo degli stessi utenti, propone un ranking di serietà, affidabilità, pulizia, ecc, a seconda dei giudizi che di volta in volta gli utilizzatori scrivono al termine del proprio periodo di affitto.
Il meccanismo di business? Semplice e immediato: Airbnb genera ricavi con una commissione del 3% a carico degli ospiti su ogni prenotazione, a cui si aggiunge una fee di servizio pagata dai locatari che va dal 6 al 12%. Percentuali non certo a buon mercato (infatti, al di là della funzionalità estrema del motore di ricerca e del sistema di prenotazione, non sono pochi gli utenti che lamentano tariffe eccessive e non sempre concorrenziali, rispetto per esempio agli hotel), ma tant'è: prenotare su Airbnb è diventata ormai praticamente una moda.
Moda che piace in particolare agli italiani: l'Italia è infatti - a sorpresa - il terzo Paese al mondo per numero di affitti temporanei nella classifica del colosso californiano, preceduto solamente da Stati Uniti e Francia. Sono infatti più di 2 milioni e 700 mila i viaggiatori che hanno soggiornato con Airbnb in Italia dal 2008 a oggi e sono oltre 150.000 alloggi disponibili in Italia.
Il problema? Come al solito, quello fiscale. I privati che affittano la propria stanza, o la propria casa, trovano in un'apposita sezione della piattaforma tutte le specifiche; per essere in regola col fisco dello proprio Paese (eventuale fatturazione se in possesso di partita Iva, eventuale pagamento della tassa di soggiorno, ecc.), e, in caso di dubbi, sono invitati a «rivolgersi per un parere al proprio commercialista». E, fin qui, la coscienza è a posto. Ancora aperta, invece, la questione fiscale "di sistema", ovvero il regime cui deve rispondere l'azienda stessa per i suoi introiti: come tutti i big tecnologici, Airbnb ha una sede Californiana, mentre per l'Europa l'headquarter è, come al solito, in Irlanda, Paese scelto perché presenta una tassazione favorevole, mentre i Paesi dove l'azienda fa profitti restano a secco.
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