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29 Marzo 2024 / 11:52
La Silicon Valley punta sulla carne senza carne

 
Scenari

La Silicon Valley punta sulla carne senza carne

di Massimo Cerofolini - 19 Luglio 2022
Creata in laboratorio, a base di vegetali o dai funghi fermentati? Il nostro viaggio in Silicon Valley, tra chi investe nelle diverse alternative alla carne tradizionale. «Stesso sapore, ma senza uccidere animali né impatti negativi sul pianeta», dicono gli esperti a San Francisco. Già 400 le startup lanciate nel settore
Ci sono gli hamburger che sembrano identici agli originali ma sono fatti soltanto con proteine vegetali come soia o piselli. Quelli che invece derivano dalla fermentazione dei funghi, come fanno i formaggi dal latte, il vino dall’uva o il pane dai cereali. Oppure ci sono quelli che, sì, sono fatti di carne, ma che, al posto di stalle e macelli, passano all’interno di bioreattori, dove cellule prelevate senza nuocere gli animali vengono coltivate e fatte moltiplicare fino a raggiungere la porzione ideale. Se vogliamo capire cosa mangeremo nel futuro è in California che bisogna chiedere. Qui a San Francisco, i grandi investitori che hanno creato dal nulla la smisurata economia di internet stanno ora diversificando le loro puntate sui temi centrali del nostro futuro: salute e sostenibilità. E sotto questa bandiera l’elemento che è insieme causa e soluzione del problema non può che essere uno: ciò che mangiamo. O meglio, come ridurre i suoi impatti negativi sul nostro benessere e sull’ambiente.
Prendiamo il tema trainante lungo la baia al di là del Golden Bridge: la ricerca di proteine alternative a quelle della carne, che i giovani innovatori californiani considerano un problema centrale, sia per i danni causati dagli allevamenti intensivi, in termini di consumi idrici e di suolo, sia per quelli potenziali sull’organismo umano, in termini di malattie e infezioni virali. Alla periferia di San Francisco, nella sede di Plenty, l’azienda che realizza fattorie verticali gestite da robot e da algoritmi che riconoscono le foglie da scartare, incontriamo Alberto Acito, imprenditore che da vent’anni aiuta le società americane a investire in Italia e che conosce a fondo la galassia del cibo tecnologico: «Da sempre la Silicon Valley raccoglie le grandi sfide che riguardano l’umanità. E quella della produzione alimentare è prioritaria perché lungo tutta la filiera, dal campo alla tavola, si concentrano i problemi e le soluzioni da trovare. Si è partiti con l’agricoltura di precisione, assistita da droni, sensori e intelligenza artificiale, e ora i venture capital si stanno concentrando sulle nuove richieste del mercato. A partire dalla ricerche per ridurre i consumi di proteine animali senza cambiare le abitudini e i gusti delle persone. Presto, dicono, saremo dieci miliardi nel mondo, e non è pensabile, dal punto di vista della sostenibilità, mantenere per tutti una dieta a base di carne e derivati animali».
Ecco allora che dalla California svariati miliardi di dollari prendono il volo per raggiungere centinaia di startup che qui o nel resto del globo immaginano le alternative del futuro. Il segmento più collaudato è quello delle proteine vegetali che simulano quelle animali. Joseph Puglisi, italo-americano con una buona proprietà della lingua di Dante, docente di biologia strutturale all’Università di Stanford, è lo scienziato che ha inventato la più conosciuta delle “carni-non carni”, quella di Beyond meat, colosso alimentare quotato in Borsa. «Ho formato – spiega - un gruppo di giovanissimi ricercatori, biotecnologi, ingegneri e chimici, estranei al mondo del cibo, per creare un hamburger che avesse il gusto, il profumo, il sapore, la consistenza e il prezzo della vera carne. Abbiamo lavorato per due anni fino a ottenere un macinato che ora viene venduto negli scaffali dei supermercati accanto alle bistecche di al manzo o di maiale».
Il segreto della ricetta? In pratica si prendono come base i piselli gialli, si estraggono da questi le molecole più simili a quelle della carne, si aggiungono riso e altri legumi per la consistenza, olio di cocco per ricreare la parte grassa e barbabietole e melograno per colorare il tutto di rosso. Il risultato, specie se servito insieme a salse, è quasi identico a quello dei prodotti tradizionali. Ancora più vicino al gusto di un hamburger di manzo sono poi i prodotti di Impossible food, che nel novero degli ingredienti vegetali aggiunge anche l’eme, responsabile del sentore di ferro contenuto nel sangue, ricavato però dalla radice delle piante di soia (ma – a differenza di Beyond meat e di altri succedanei - ancora non acquistabile in Europa, in mancanza dell’autorizzazione dell’Efsa, l’ente europeo per la sicurezza alimentare).
Una volta data la stura con gli hamburger si è aperta la corsa a ogni genere di prodotti alternativi. «Dopo i surrogati delle carni – aggiunge Acito – si è passati a quelle vegetali dei pesci, dei formaggi, delle uova o del latte. Sapori simili ma usando soltanto legumi e altri vegetali. Con enorme gradimento tra i consumatori che trovano i prodotti nei supermercati, nei fast food o nei ristoranti».
Diverso invece è il caso della carne coltivata. Appena oltre il ponte che da Oakland porta ad Alameda, raggiungiamo la nuova sede di Just, la compagnia che ha cominciato con le uova a base di fagioli ma dal sapore di quelle di galline e che ora si è lanciata nel promettente campo dei polli da laboratorio. Come funziona? «Partiamo da una cellula – spiega Josh Tetrick, il fondatore, fisico da culturista ed eloquio da visionario – prelevata dal pollame, dalle loro piume, ma anche da una banca delle cellule o da un pezzo di carne fresca. Quindi identifichiamo i nutrienti come vitamine o sali minerali per farla crescere e moltiplicare all’interno di bioreattori. Finché, nel giro di due settimane, otteniamo un prodotto finito, un petto di pollo identico all’originale, né migliore né peggiore, ma senza tutto il resto dei problemi».
Per Tetrick, come per gli altri pionieri di questo settore emergente, il business aziendale sembra coincidere con una autoassegnata missione per salvare il genere umano: «Noi – spiega – coltiviamo carne perché i metodi tradizionali oggi non hanno più senso. Usiamo un terzo del suolo per piantare soia e cereali con cui nutrire il bestiame, con grandi consumi di acqua e suolo, costringendo gli animali in gabbie ristrette dove vengono imbottiti di antibiotici e ingegnerizzati per produrre masse maggiori di petto, ossia la parte più redditizia. In più c’è il rischio di trasmettere nuovi virus sull’uomo. Tutto questo non ha nulla di naturale. E se vogliamo che in futuro tutti mangino carne, e abbiano cioè una dieta saporita, sicura ed equilibrata, dobbiamo per forza trovare strade alternative».
Al momento Just è l’unica azienda al mondo ad aver ottenuto il permesso di vendere il suo prodotto ai consumatori. Lo fa in un ristorante di Singapore, a un prezzo tra i 10 e i 20 euro a porzione. Chiosa Tetrick: «Per ora siamo all’aperitivo, ossia dimostrare che non si tratta di fantascienza e ci stiamo riuscendo; tra cinque anni vogliamo passare alla distribuzione negli Stati Uniti e nel resto del mondo; e prima di morire vorrei vedere l’umanità che consuma più carni alternative che tradizionali. Sono certo che ce la farò».
Ma nel futuro delle proteine alternative c’è anche il ritorno ai metodi che affondano nella notte della civiltà umana. Come la fermentazione. Oggi tra le aziende più finanziate che operano in questa direzione ci sono già diversi colossi come Perfect Day, Ginkgo Bioworks, Geltor e MycoTechnology. «È un processo che l’uomo ha sempre usato – puntualizza Acito – soltanto che oggi lo si fa con tecnologie innovative e partendo da ingredienti mai sperimentati prima per questo scopo. Come ad esempio i funghi. In fondo la fermentazione è un processo metabolico che in un cibo produce radicali cambiamenti chimici, e di sapore, attraverso l’azione degli enzimi. In pratica prendi una sostanza, aggiungi qualcosa con cui questa reagisce e ottieni una nuova sostanza».
Proprio così. Come accaduto per vino, birra, formaggi, pane o yogurt, ancora una volta da un microbo all’apparenza insignificante possono lievitare alimenti nuovi. Alcuni dal gusto di carne, altri con sapori sconosciuti ancora tutti da scoprire. Ed è su queste incognite che le anime inquiete della Silicon Valley vogliono scommettere con le loro infinite risorse di denaro.
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