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20 Aprile 2024 / 13:40
Fintech, la ricerca di Bankitalia

 
Fintech

Fintech, la ricerca di Bankitalia

di Mattia, Schieppati - 9 Gennaio 2018
La Banca d'Italia pubblica un'indagine conoscitiva sull'adozione delle innovazioni tecnologiche applicate ai servizi finanziari. L'abbiamo letta attraverso tre domande aperte: quali sono le aree potenzialmente più interessanti? Può esserci vera integrazione tra servizi mobili e processi consolidati, back-end compreso? Amazon e gli altri Over-the-top possono fare anche le banche?
La premessa certifica un’evidenza: lo sviluppo del comparto Fintech ha prodotto tre effetti ormai conclamati: «investe il mercato del credito, dei servizi di pagamento e delle tecnologie a supporto dei servizi bancari e finanziari; modifica la struttura dei mercati finanziari per l’ingresso di start-up tecnologiche, dei “giganti” della tecnologia informatica e dei social media; richiede una risposta strategica da parte delle imprese già presenti». Parte da questa traccia il report recentemente pubblicato da Banca d’Italia dal titolo “Fintech in Italia”. Indagine conoscitiva (qui il link) sull’adozione delle innovazioni tecnologiche applicate ai servizi finanziari che ha messo sotto analisi un campione di 93 intermediari: i 13 maggiori gruppi bancari italiani (significant institutions), 53 gruppi bancari meno rilevanti (less significant institutions), 23 intermediari non bancari e 4 filiazioni italiane di banche europee.
Uno studio autorevole, che attesta le dimensioni di alcuni aspetti di questo fenomeno sempre più al centro della discussione, ma soprattutto stimola a far ragionare le banche su alcuni temi che possono diventare punti di crescita in questa epoca di forte cambiamento.
Prima, però, qualche dato di inquadramento. Secondo la ricerca, a livello internazionale si stima che l’investimento per lo sviluppo di progetti Fintech sia stato superiore a 25 miliardi di dollari nel 2016: il Nord America è la prima regione per ammontare degli investimenti (il 55% del totale), seguita dall’Asia (34%) e quindi dall’Europa (9%).

Venendo all’Italia…

Il volume di investimento delle banche italiane in ambito Fintech è stato di 135 milioni nel 2016 e il grado di coinvolgimento del settore finanziario, soprattutto delle banche di grande dimensione, sembra essere a prima vista intenso: circa i tre quarti degli intermediari prevede di effettuare almeno nel lungo termine investimenti in tecnologie e servizi Fintech. Anche il numero di progetti di investimento censiti risulta elevato: ben 283 iniziative Fintech, con una quota significativa, il 29%, già in fase di produzione; il 43% è approvato o in corso di sviluppo; e solo il 28% è ancora in fase di ricerca e sviluppo.
Il 92% degli investimenti è riferibile ai principali gruppi bancari, e riguarda soprattutto lo sviluppo di servizi informativi e dispositivi alla clientela (operatività dei conti correnti, servizi di pagamento, gestione dell’identità elettronica, riconoscimento a distanza). Gli investimenti delle banche minori sono concentrati su tecnologie analoghe ma dal profilo innovativo meno accentuato; i progetti degli intermediari non bancari riguardano soprattutto strumenti di pagamento, tecnologie trasversali e crowdfunding.
I maggiori vincoli allo sviluppo di Fintech, secondo gli intermediari intervistati, sono riconducibili alla significativa onerosità degli investimenti, a cui corrispondono profitti attesi ritenuti al momento incerti, in ragione sia del potenziale sviluppo del mercato, la cui domanda non è considerata ancora sufficientemente matura, sia dell’incertezza sull’evoluzione futura del quadro regolamentare. Ma rispetto alla forza dell’innovazione, non pare una buona strategia affrontare la questione da un punto di vista statico. Come viene scritto nel report, «già oggi l’ingresso di nuovi operatori nel sistema finanziario obbliga gli intermediari a reagire, investendo maggiormente nell’innovazione tecnologica per ridurre i costi operativi e automatizzando i processi in modo da rimodulare i canali distributivi per offrire alla clientela servizi innovativi e di elevata qualità». Nella profonda convinzione che il Fintech possa «costituire uno stimolo all’innovazione dell’industria finanziaria, ricercando nuovi modelli di business e recuperando soddisfacenti margini di redditività».
Per questo, abbiamo provato a percorrere il report provando a sintetizzarlo in 3 domande aperte.

Quale Fintech interessa alle banche?

Le 283 iniziative finanziate sono state raggruppate da Bankitalia in 7 macro categorie. Una schematizzazione utile per comprendere trend di potenziale interesse, e aree con il maggiore potenziale di sviluppo. Le categorie risultanti sono:
  • Tecnologie per contratti e operazioni a distanza (25% dei progetti): si tratta di iniziative per la gestione dell’identità elettronica e/o per il riconoscimento a distanza del cliente utilizzati per la sottoscrizione di servizi finanziari, comprese le attività di integrazione con il Sistema pubblico per l’identità digitale (Spid);
  • Tecnologie a supporto (23%): comprendono strumenti quali Big Data, Intelligenza Artificiale, Cloud Computing, Open Api - Application Programming Interface e Iot – Internet of things e risultano di interesse per tutte le tipologie di enti;
  • Servizi di pagamento (23%): riguardano le nuove modalità di pagamento istantaneo e tra privati P2P (peer to peer), prevalentemente attraverso dispositivi mobili, compresi i servizi operati su più strumenti di pagamento (conti bancari, carte di credito o di debito, valute virtuali);
  • Servizi automatizzati per il cliente (16%): riguardano la consulenza finanziaria automatizzata (robo-advisor), i portali per la comparazione di offerte di servizi finanziari o assicurativi, i servizi informativi sui conti del cliente, i servizi di Customer Relationship Management automatizzati con soluzioni di intelligenza artificiale (ChatBox);
  • Crowdfunding (3,1%);
  • Dlt (Distribted Ledger technologies) e Smart Contracts (2,8%);
  • Valute virtuali (1%).
  • Infine, 18 progetti sono stati considerati nella categoria residuale “altre”, non essendo classificabili nelle categorie precedenti.

    Può esserci vera integrazione?

    Tra le questioni emerse durante la realizzazione dell’indagine, è stata evidenziata la complessità di integrazione delle soluzioni Fintech con i sistemi informativi di back end proprietari degli intermediari tradizionali: l’esigenza di garantire un’usabilità semplice per l’utente finale nasconde la complessità dell’infrastruttura sottostante. Gli intermediari, che percepiscono elevati rischi per la sicurezza informatica, hanno evidenziato il trade-off esistente tra la facilità d’uso per il cliente e il livello di sicurezza richiesto nonché il possibile incremento dei rischi di frode nell’ambito dei servizi di pagamento istantanei.
    Sono stati inoltre messi in luce gli impatti potenzialmente negativi dei dispositivi utilizzabili per i pagamenti P2P sui sistemi di sicurezza. E la necessità, dunque, di definire un livello standard di sicurezza informatica, di assicurare un significativo e continuo investimento negli strumenti per la gestione della sicurezza, di valutare gli effettivi rischi delle nuove soluzioni di pagamento, al momento prive di una serie storica di eventi di rischio da analizzare.
    Per i pagamenti P2P, inoltre, i costi di attivazione e mantenimento sono ritenuti elevati in rapporto alle incertezze sull’evoluzione del contesto di mercato e sulla sostenibilità dei progetti nel lungo periodo. Anche per i servizi automatizzati per il cliente e per le tecnologie per contratti e operazioni a distanza, gli aspetti di maggiore problematicità sono riconducibili ai rischi per la sicurezza informatica difficilmente presidiabili, l’integrazione di nuove tecnologie con gli attuali sistemi o con i servizi contrattualizzati con i fornitori esterni e l’interesse ancora limitato da parte della clientela.
    Tutte osservazioni più che corrette: la corsa al nuovo e al digitale non può consentire nessuna omissione rispetto a quello che è uno dei patrimoni di maggior valore delle banche, la serietà nel garantire sicurezza alla propria clientela.

    Amazon farà anche la banca? E le banche come potranno reagire?

    È la domanda che si è posto Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia, in un’intervista rilasciata a La Stampa il 2 gennaio (leggi qui). Un intervento che costituisce un naturale corollario alla ricerca di Bankitalia, e che apre uno scenario di discussione netto e importante. «Perché non dovremmo dare la licenza ad Amazon se la chiedesse?», si domanda in maniera aperta Panetta, osservando come già oggi, rispetto alle normative nazionali ed europee, in effetti «il Fintech non abbia bisogno di grandi interventi legislativi», e che per esempio un Over-the-top solido e “liquido” come la società di Jeff Bezos avrebbe le carte in regola per entrare nel gioco ed essere da subito un giocatore molto importante.
    Un ragionamento lineare, che però non vuole creare spauracchi, ma essere ulteriormente da stimolo alle aziende finanziarie tradizionali, perché guardino al cambiamento in atto sempre più come a un’opportunità. «Non c’è una soluzione che possa risolvere magicamente i problemi di redditività. Le banche possono guadagnare in tre modi», afferma Panetta, «Assumendo alti rischi, il che è oggi arduo per la normativa sempre più stringente. Sfruttando il potere di mercato, ma anche questa strada è sbarrata dalla concorrenza. Possono poi migliorare l’efficienza, abbassando i costi e aumentando il ricorso alla tecnologia, cosa che stanno facendo. Le banche non possono non investire nell’innovazione. Ma attenzione: non è detto da solo basti. Nel mondo che ci aspetta la concorrenza sarà una sfida continua agli intermediari tradizionali da parte di operatori più agili e con costi minori».
    Di conseguenza, prosegue Panetta, «le banche devono migliorare il ricorso all’innovazione rispetto al passato, quando la tecnologia raddoppiava l’attività tradizionale e i Bancomat duplicavano gli sportelli. La scommessa è sostituire, non affiancare, i canali tradizionali con servizi a distanza, sapendo che lo sportello non sparirà, perché non vedo molti clienti acquistare un mutuo online».
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