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24 Aprile 2024 / 07:38
Le banche italiane alla prova del "Mi piace!"

 
Fintech

Le banche italiane alla prova del “Mi piace!”

di Mattia Schieppati - 13 Giugno 2013
KPMG ha analizzato l’utilizzo dei canali social da parte dell’industry bancaria. Un “dialogo” che riguarda 710mila italiani e che rappresenta per le banche una potente leva di business. Capace di cambiare le modalità di rapporto con il cliente …
Sono 710mila gli italiani che sono fan e follower di una qualche banca italiana su Facebook o su Twitter. E sono 8 su 10 le banche che, nell’ultimo anno, hanno una presenza più o meno strutturata su uno o più canali social, canali che vengono utilizzati come strumento di comunicazione sempre più abituale. Con un’intensità in crescita esponenziale: dall’1 al 30 aprile 2013, sono state circa 5.900 le attività tra post e commenti, tweet e reply, generate dalle banche. Di questi, 1.000 sono stati effettuati su Facebook e 4.900 su Twitter: un vantaggio frutto della brevità dei contenuti che vengono postati e dei tempi di risposta molto rapidi. In media, si parla di 200 attività al giorno, weekend compresi.
Sono alcune delle tendenze che emergono dalla ricerca sul Social Banking realizzata da KPMG in collaborazione con ECCE Customer, la soluzione Crm sociale sviluppata da Decisyon, che per la prima volta prova a fotografare la presenza e le attività svolte dalla banche italiane attraverso i social network. Sotto analisi sono finite 18 banche (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Fineco, MPS, BNL, CheBanca!, Webank, IW Bank, ING Direct, Banca Mediolanum, Banca Sella, Banca Popolare di Vicenza, Creval, Veneto Banca, IBL Banca, Banca IFIS, Findomestic Banca e Poste Italiane), 17 delle quali hanno una pagina attiva su Facebook con un totale di 684.055 fan, mentre 14 sono dotate di un account Twitter per un totale di 24.484 follower. Ancora un piccolo campione, rispetto ai numeri macinati dal traffico globale dei social, ma indicativo di una «presa di coscienza dell’intero settore sull’importanza di investire su questa nuova frontiera», dice Paolo Capaccioni, partner KPMG e tra i curatori della ricerca.
La ricerca è una miniera interessantissima di dati e di potenziali filoni di crescita per le aziende bancarie italiane. Un esempio? L’ampliamento degli orari durante i quali è possibile attivare un’interazione banca-cliente: la giornata lavorativa delle banche sui social media inizia prima e finisce sempre più tardi rispetto agli orari degli sportelli fisici. Tra le 6 e le 19 il numero di attività su Facebook risulta superiore a 200, con picchi proprio alle 6, alle 9 e alle 19. I fan iniziano a essere attivi, superando le 200 attività, circa un’ora dopo rispetto alle banche, a partire dalle 7, per raggiungere il picco massimo di attività alle 13 e proseguire sopra questa quota fino alle 21. Non solo: sui social non esiste il concetto di weekend. I fan delle banche continuano infatti la propria attività anche il sabato e la domenica, concentrando in questi due giorni l’11% delle attività settimanali su Facebook e il 5% di quelle su Twitter, mentre le banche generano nel weekend il 9% dell’attività settimanale su Facebook e l’1% su Twitter.
E cosa chiedono i clienti alla loro banca attraverso questi canali? Come indica la ricerca, “i termini più usati su Facebook da parte dei fan, nel mese di aprile sono stati conto, carta, codice, poste, devo, sapere, possibile: lasciano presupporre che i fan, clienti o potenziali, ricorrano al social network come canale alternativo di customer care. Questo avviene non solo nelle fanpage dedicate alle attività di supporto successive alla vendita, ma anche nei wall delle pagine focalizzate su altre attività. L’interesse per i servizi di customer service emergono anche dai dati relativi alla pubblicazione di contenuti generati dagli utenti: mentre in generale questo tipo di contenuti costituisce il 37% di quelli pubblicati nelle fanpage Facebook e il 57% di quelli postati su Twitter, negli account dedicati al customer service questa percentuale sfiora in entrambi i casi il 95%”.

Dottor Capaccioni, al di là dei numeri, qual è il tema comune che emerge da questa ricerca, che rappresenta il “polso della situazione” del rapporto tra imprese bancarie e social network?

Durante la presentazione della ricerca hanno portato la loro esperienza tre banche diverse tra loro per dimensione, per storia, per approccio: UniCredit, BNL e Banca IFIS. Bene, tutte e tre hanno elaborato in poco tempo modelli di utilizzo dei social diversi tra loro, ma tutti molto brillanti. Che fanno trasparire un punto in comune che è la caratteristica di tutte le banche italiane: una strategia social che nasce in maniera sperimentale, per aggiustamenti successivi, e che non parte già con una “messa a sistema” definita. E questo approccio, che da un lato può sembrare improvvisato, è anche un punto di forza, perché rappresenta una presa di confidenza progressiva delle banche con questo nuovo mondo di interazione con la clientela.

Rispetto al panorama mondiale, le nostre banche sono più o meno social oriented?

Forse l’Italia ha iniziato con un pelo di ritardo a confrontarsi seriamente con le potenzialità che i social network possono rappresentare. Lo si denota dall’utilizzo che fanno di questi canali, Facebook e Twitter in particolare: il 100% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare i social per veicolare informazioni di tipo commerciale o per promuovere il marchio, mentre per esempio solo per il 7% del campione lo considerano un canale per gestire le attività di customer care. Insomma, in Italia i social network sono ancora intesi, in modo riduttivo, come strumenti di comunicazione e infatti in tutti i casi di banche analizzati sono gestiti dal settore Comunicazione, mentre all'estero - in Francia o negli Stati Uniti, per esempio - i social sono intesi come una vera e propria leva di business e vengono spesso gestiti all'interno di reparti "operativi" come il Customer Care o le Operations. In effetti è una leva molto redditizia, per esempio dal punto di vista del saving. Pensiamo alla gestione del customer care: il costo per una soluzione end-to-end sui canali tradizionali è di circa 9 euro a pratica. Attraverso i canali social e lavorando su attività “preventive” di informazione o altro, si hanno performance medie di costo intorno agli 80 centesimi. Una bella differenza. Altro scenario: si è discusso ultimamente sull’apertura delle filiali nella mattina del sabato. Ma quali sono le necessità che può avere un cliente il sabato mattina, che lo spingono ad andare in filiale? Non è possibile dare risposta a queste necessità attraverso, per esempio, un canale chat dedicato e sicuro? O altre modalità che passano dai canali social? Per le banche sarebbe un risparmio non indifferente, oltre che una comodità per il cliente.

Qual è il valore aggiunto che i social portano o possono portare nel rapporto banca-cliente?

Al di là dei nuovi servizi, delle comodità, dei risparmi, ecc. la grande funzione che un canale diretto, aperto, immediato come quello dei social può assolvere è quella di riannodare un rapporto di fiducia tra cliente e banca che negli ultimi anni si è allentato. Per questo le banche non devono sottovalutare il valore che questi canali rappresentano, la possibilità di essere “in mezzo” ai loro clienti o potenziali tali, parlare il loro linguaggio, interloquire con tempi e modi che non solo quelli del tradizionale rapporto con il cliente, appunto.

Ipotizzando una migrazione massiccia di funzioni e servizi bancari sui social, non si rischia di perdere per strada quella grande fascia di clientela più anziana, poco avvezza a Facebook e compagni?

Io non sono d’accordo con questa lettura, per cui i social sono uno strumento per ragazzini. L’età media degli utenti Facebook, per esempio, è di 35 anni: parliamo di adulti. Secondo dato: tutte le banche e i gruppi bancari, ormai, hanno in essere iniziative di banca digitale e l’incremento anno su anno dei servizi di home banking e mobile banking è esplosivo. Il 93% delle operazioni di routine avviene senza che il cliente metta piede in filiale. E, anche in questo caso, è difficile dimostrare che questi numeri sono legati solo ai giovanissimi. Significa che il cliente italiano in realtà ha una familiarità con gli ambienti e gli strumenti digitali superiore a quella che normalmente si racconta. Tanto che un dibattito aperto all’interno delle aziende bancarie è quello sul ripensamento della funzione degli sportelli.

Vista la rapida evoluzione dei social network e la continua comparsa sul mercato di nuovi player, non c’è il rischio che prima che le banche adottino strategie strutturate lo scenario sia già cambiato? E Facebook, per esempio, non sia già finito nel museo delle antichità?

Come ho detto, la capacità di reazione delle banche è stata molto rapida e quindi questo rischio non lo vedo. Anche perché quello dei social è un mondo aperto, dove chi innova fa da apripista agli altri e gli esperimenti vanno al di là delle divisioni settoriali. Mi spiego: vedo per esempio che Fiat sta facendo delle cose molto interessanti utilizzando Pinterest,. Ma sono modelli che anche una banca potrebbe adottare, anche se fa un mestiere completamente diverso dalla Fiat.

Mentre le banche stanno prendendo confidenza con i social, il mondo dell’Ict sta guadagnando spazi importanti in quelli che sono i servizi e le funzioni proprie delle banche. Pensiamo per esempio al settore dei sistemi di pagamento e alle novità che stanno avviando due colossi come Facebook e Google…

È vero, si tratta di una sfida incrociata molto interessante. Però non va intesa come competizione, sarebbe un suicidio per le banche. L’industry bancaria sa che alcuni servizi, per il cliente, stanno diventando delle commodity su cui è sostanzialmente inutile fare competizione. Perché, per esempio per le transazioni, non si può fare altro che fare prezzi da commodity, appunto. La carta vincente che le banche si possono e devono giocare, invece, sta sui servizi a valore aggiunto, dove emerge la loro specificità, competenza e professionalità. Dove un semplice algoritmo, insomma, non basta.
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