Se la banca cavalca i Big Data
di Maddalena Libertini e Flavio Padovan
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28 Novembre 2013
Le informazioni rappresenteranno sempre più un fattore critico di successo anche nel mondo finanziario e la competizione si giocherà sulla capacità di usare gli analytics e i Big Data per produrre business. Ne parla Adolfo Norì di Teradata, spiegando i vantaggi che le banche possono ottenere investendo in quest’area
Nei prossimi due anni i Big Data rivoluzioneranno il DNA delle banche, favorendo un’evoluzione del loro ruolo all’interno di uno scenario dove l’info-mediazione diventerà un fattore chiave di competizione. È questa la previsione di
Adolfo Norì
, Banking & Insurance Account Sales Manager di Teradata, che Bancaforte ha incontrato con l’obiettivo di approfondire il cambiamento in atto e i riflessi sul settore bancario. Sta, infatti, crescendo la consapevolezza del valore che i Big Data possono assumere anche nel mondo finanziario. Ad esempio, attraverso gli analytics dei tweet o delle conversazioni sui social network si può individuare il prodotto che ha più appeal su un determinato target di clientela. “La maggior parte delle banche sta avviando iniziative di questo tipo – spiega Norì – ma la loro reale utilità per il business dipenderà dalla capacità di ciascuna istituzione finanziaria di integrare le informazioni estratte dai social media nella propria fabbrica prodotto. A mio avviso, siamo solo all’inizio: per il momento sono ancora esperimenti isolati, anche se destinati a produrre un cambiamento importante a breve”.
Il cambiamento è già in atto?
A mio avviso ci sono già segnali evidenti, come la riduzione della rete distributiva e la tendenza delle nuove generazioni a fare da soli. In filiale si va sempre meno e sono sempre più rari i contatti con il gestore, risorsa peraltro preziosa per le banche che tendono a utilizzarla prevalentemente per il target affluent o private. Come venire incontro alle nuove esigenze di consulenza finanziaria e di autonomia dei clienti? Grandi realtà, come Wells Fargo, hanno fatto scuola, dando alla clientela la possibilità di utilizzare direttamente il proprio data warehouse per fare analisi e report insieme a servizi a valore aggiunto come le analisi what-if di pianificazione finanziaria. In cambio si ricevono informazioni su bisogni, prospettive, obiettivi e prodotti desiderati dei clienti stessi. Una ricchezza enorme, se si è in grado di analizzarla e di trarne le indicazione per il business.
Sta descrivendo un nuovo modello di banca con un ruolo molto più esteso…
Nel 1999 è uscito un libro profetico di John Hagel III, Net Worth, che parlava di info-mediazione. Teorizzava la nascita di soggetti che, godendo della fiducia dei clienti, raccolgono informazioni dando in cambio valore, diventano punti di aggregazione e contrattano connessioni con altri soggetti. Dopo 14 anni assistiamo ai primi modelli di info-mediazione e, a mio avviso, la banca, che dispone già di informazioni importanti sui propri clienti come l’ammontare dello stipendio, le tipologie di spese, i progetti più importanti, si candida per natura a svolgere questo ruolo.
Big Data e banche: su quali aspetti sta lavorando Teradata?
Sicuramente la retention, che è un ambito che interessa molto le istituzioni finanziarie. E poi l’analisi dei dati di utilizzo dell’internet banking. Faccio un esempio di business legato ai Big Data: è possibile analizzare il pattern, cioè la sequenza delle operazioni e delle interazioni sui canali che porta a un evento significativo come può essere l’uscita del cliente dalla banca, l’acquisto di un prodotto o l’abbandono del sito web. Questo significa studiare dati eterogenei che provengono dal weblog e hanno una variabilità molto elevata, insieme a dati che provengono da canali quali i call center, risponditori automatici ecc. Tutto questo insieme di informazioni, strutturate e non, deve essere analizzato in maniera integrata con un approccio industriale. E questo è proprio quello che fa l’Unified Data Architecture di Teradata.
Sono temi che investono tutte le banche o per ora solo i grandi gruppo?
Sicuramente sono molto attive su questo fronte le banche di grandi dimensioni, in particolare quelle
che hanno anche respiro internazionale. Però anche le banche medie sono ormai consapevoli dell’importanza di questi temi: hanno iniziato più tardi, ma oggi è importante anche per loro
conoscere, ad esempio, i comportamenti dei clienti rispetto all’internet banking. Servono certamente investimenti importanti, che devono essere accuratamente valutati. Quello che abbiamo riscontrato è che, in generale, si sta riducendo il numero dei progetti, ma aumenta la loro robustezza e l’impegno da parte di tutta la struttura organizzativa della banca.
Da dove bisogna partire per impostare correttamente un progetto legato ai Big Data?
È necessario avere consapevolezza che i Big Data sono ovviamente legati ad un ambito tecnologico, ma vanno visti prima di tutto come occasione di business, con un’enorme gamma di potenziali utilizzi. Le banche che investono devono avere chiaro che, sia nel caso in cui l’iniziativa venga da un tema di avanguardia che l’IT voglia sviluppare, sia nel caso in cui si è spinti dall’interesse di conoscere cosa si dice in rete del proprio brand, alla base ci deve sempre essere un’idea di business. L’architettura tecnologica deve, quindi, essere sempre pensata a supporto dell’obiettivo prefissato e non essere essa stessa un obiettivo.