Web a prova di privacy. L'ha deciso la Corte Europea
di Franco, Volpi
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5 Dicembre 2011
Storica sentenza della corte di giustizia Ue, che chiude una vertenza iniziata nel 2004. I provider non possono inserire dei “filtri” per contrastare il download illegale
I tempi elefantiaci della giustizia, si sa, non possono essere nemmeno lontanamente paragonati ai tempi rapidi del web. Ma di sicuro, anche se i giudici ci hanno messo sette anni a decidere, quella appena emessa dalla Corte di giustizia Ue è una sentenza storica. Che recita:
“Il diritto dell'Unione vieta che sia rivolta a un fornitore di accesso a Internet (ovvero, a un provider, ndr) un'ingiunzione per predisporre un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo”.
Per la Corte, infatti, “un'ingiunzione di tale genere non rispetta il divieto di imporre a siffatto prestatore un obbligo generale di sorveglianza né l'esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà d'impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall'altro”.
Uscendo dal linguaggio della burocrazia giuridica, queste poche righe si traducono in una vera e propria mazzata contro anni, anni e pagine scritte e spese per cercare di dare una configurazione 2.0 all'intricatissima questione della tutela del diritto d'autore di tutto ciò che circola sul web: dai file musicali scaricati da siti pirata (fenomeno che continua ad esistere in dosi massicce, nonostante l'avvento di store “legali” come iTunes), alle opere intellettuali coperte da copyright.
Fino ad ora, infatti, le autorità dei vari Paesi, pur in presenza di legislazioni differenti, tendevano a considerare i provider, ovvero le aziende di telecomunicazioni che offrono e controllano l'accesso degli utenti al web, in qualche modo garanti – se non responsabili – del corretto comportamento degli utenti. E quindi i provider mettevano
appunto filtri che impedivano l'accesso a siti che consentono il download illegale di materiale sotto copyright. Ma questa via r
appresenta – come ora sancito anche dalla Giustizia – un'evidente forzatura: se è il provider, attraverso filtri o altro, a consentire o meno l'accesso a un sito, si dà per scontato che quel provider sappia, in ogni momento, in quali siti stia navigando l'utente, e possa decidere su quali siti possa o non possa navigare. Ovvero, interviene pesantemente sulla libertà di scelta, e ne viola la privacy, oltre che, sull'altro fronte – quello dei provider – violare la libertà d'impresa. Cose entrambi incompatibili con i principi fondamentali del diritto comunitario.
La causa che ha portato a questa sentenza è nata da una controversia tra la
Scarlet Extended SA
, società olandese dell'ex gruppo Tiscali, fornitore di accesso a Internet, e la
Sabam
, una società di gestione belga che gestisce i diritti d'utilizzo di opere musicali ed editoriali coperte da diritto d'autore. Nel 2004 la Sabam ha scoperto che alcuni utenti che si avvalevano dei servizi della Scarlet scaricavano da Internet, senza autorizzazione e senza pagarne i diritti, opere contenute nel suo catalogo, utilizzando reti peer-to-peer. Il Tribunale di Bruxelles aveva ordinato alla Scarlet, in qualità di fornitore di accesso ad Internet, di far cessare tali violazioni del diritto d'autore, rendendo impossibile ai suoi clienti qualsiasi forma di invio o di ricezione tramite peer to peer di file che contenessero un'opera musicale appartenente al repertorio della Sabam. La Scarlet è ricorsa in appello, l'incartamento è finito alla Corte di giustizia Ue che ora ha così deciso.
Positive, in Italia, le reazioni di Asstel, Assinform, Aiip e Anitec, le associazioni di categoria di Assotelecomunicazioni (la Confindustria delle aziende digitali), secondo le quali si tratta di «una sentenza intelligente che, indicando l’incompatibilità con il diritto comunitario dei filtri su Internet, incentiva a contrastare la pirateria attraverso una politica di reale promozione del mercato legale dei contenuti online». Una “politica” che, però, nel mondo ancora non esiste.