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26 Aprile 2024 / 12:53
Riforma del mercato del lavoro: i riflessi sul sistema bancario

 
Banca

Riforma del mercato del lavoro: i riflessi sul sistema bancario

di Angelo Giuliani - 6 Dicembre 2012
Cosa cambia con la nuova normativa del mercato del lavoro e in particolare per il settore bancario? Quali sono stati i temi di maggiore dibattito? Dal contratto a termine a quello di apprendistato, fino alla materia dei licenziamenti...
La legge di riforma del mercato del lavoro “in una prospettiva di crescita” (legge n. 92 del 2012, c.d. legge Fornero) – come recita il titolo stesso del provvedimento legislativo – rappresenta una tappa fondamentale nel processo di riordino e di ridefinizione della normativa del rapporto di lavoro, nell’ambito delle più ampie riforme avviate nel decreto “Salva Italia” contenente la nota revisione del sistema pensionistico. Fondamentale perché, come è ben noto, riguarda la disciplina del lavoro nei suoi aspetti essenziali: le politiche di ingresso, i criteri e le regole concernenti l’uscita e, più in generale, le regole inerenti il sistema degli ammortizzatori sociali.

La posizione dell'ABI

Sulla reale rispondenza della nuova legge agli obiettivi più volte annunciati dal Governo, l'ABI ha avuto occasione di pronunciarsi nelle diverse sedi competenti.
Come si ricorderà, l’obiettivo di fondo perseguito dal legislatore è stato essenzialmente quello di dare nuovo impulso alle dinamiche occupazionali, rimuovendo gli abusi – soprattutto sul versante delle politiche di ingresso nel mondo del lavoro – rispetto a un mercato che appariva troppo frammentato e scarsamente orientato verso effettivi modelli di flessibilità.
Già in occasione della stesura, da parte del Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 marzo 2012, di un documento contenente le “Linee guida” che avrebbero dovuto ispirare la futura riforma, l'ABI condivise con altre Organizzazioni datoriali una posizione critica in ordine all’impianto complessivo della stessa, evidenziando un irrigidimento delle flessibilità in entrata, non bilanciato da adeguati interventi sulla disciplina dei licenziamenti.
Nelle stesse occasioni, venne segnalato da parte dell'ABI come gli interventi di riforma nella fase di ingresso e di uscita dal mercato del lavoro fossero strettamente connessi, nel senso cioè che avrebbero dovuto far parte di un disegno complessivo che potesse bilanciare i due versanti – appunto dell’entrata e dell’uscita dal lavoro – al fine di cogliere gli obiettivi comuni del rilancio dell’occupazione e della crescita economica.
Questa la prima opzione espressa dall'ABI su un articolato che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto favorire un rilancio effettivo dell’occupazione.
Nell’ambito del dibattito parlamentare, congiuntamente alle citate Organizzazioni imprenditoriali, è stato quindi elaborato un documento di “emendamenti” al disegno di legge presentato alla Camera dei Deputati, incentrato su alcuni, specifici istituti.
La discussione, piuttosto intensa nella prima fase, è stata tuttavia orientata e limitata su alcuni maxi-emendamenti di provenienza governativa e l’approvazione conclusiva, in entrambi i rami del Parlamento, è avvenuta con voto di fiducia.
Da segnalare, poi, che al testo di legge originario sono state apportate ulteriori modifiche ed integrazioni ad opera di successivi provvedimenti normativi, quali il decreto crescita e la legge sulla spending review.

I temi del dibattito: i contratti a termine

Tra gli istituti sui quali si è maggiormente soffermata l’attenzione dell'ABI, vanno ricordati anzitutto il contratto a termine e l’apprendistato (su questo tema vedi anche l'articolo Apprendistato contro la crisi).
Quanto al contratto a termine lo sforzo congiunto è stato quello di contribuire alla definizione di una disciplina di legge più rispondente alle esigenze di flessibilità delle imprese. Obiettivo che, a una attenta lettura della nuova normativa, solo in parte parrebbe realizzato: senz’altro positivo, in questa specifica prospettiva, è l’abolizione della causale per il primo contratto di durata fino a 12 mesi, sebbene, è opportuno ricordare, le aziende del credito abbiano sempre fatto un utilizzo corretto dell’istituto, non “faticando” dunque a individuare la causale – ossia la ragione giustificativa (di natura tecnica, organizzativa, produttiva o sostitutiva) – per l’assunzione a tempo determinato.
A fronte di questa che, è opportuno ribadire, va vista come una spinta di grande rilievo al libero, purché lecito, utilizzo di uno strumento negoziale che consente alle aziende di adeguare le proprie politiche occupazionali alle specifiche esigenze produttive, si registrano irrigidimenti della disciplina sia sul fronte normativo che su quello del “costo”.
Nel settore bancario vi sono mediamente circa 3.000 lavoratori assunti con contratto a termine. Essi dovranno essere computati ai fini del collocamento obbligatorio se i relativi contratti sono di durata superiore a 6 mesi: la precedente normativa escludeva dal computo i contratti di durata fino a 9 mesi.
La legge Fornero aveva addirittura eliminato ogni discrimine temporale, con la conseguenza che ogni contratto, di qualunque durata, avrebbe dovuto essere computato nella predetta base di calcolo: solo con la legge di conversione del ricordato “decreto crescita”, a fronte di uno specifico emendamento proposto anche dall'ABI, è stato possibile reinserire un “esonero” almeno per i contratti di durata fino a 6 mesi.
Inoltre a decorrere dal 1° gennaio 2013 è previsto un contributo addizionale a carico dei datori di lavoro nella misura dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Mitiga tale maggior onere la previsione che lo stesso non si applica nei casi di assunzioni a termine per esigenze sostitutive (le altre esclusioni previste dal legislatore non interessano sostanzialmente il nostro settore) e la “restituzione” del contributo addizionale, nel limite di 6 mensilità, nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, nonché nell’ipotesi di assunzione dell’interessato, sempre a tempo indeterminato, entro il termine di 6 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine.
Appesantiscono le possibilità di utilizzo dell’istituto le nuove disposizioni relative al computo nel periodo massimo di 36 mesi, anche dei periodi di somministrazione, i nuovi limiti relativi ai “periodi cuscinetto” (o di tolleranza) e agli “intervalli” tra un contratto a termine e il successivo (solo parzialmente mitigati, per quest’ultimo aspetto, dal rinvio più ampio alla contrattazione collettiva, anch’esso contenuto nella citata legge n. 134).

I temi del dibattito: l'apprendistato

Particolare attenzione era stata poi posta dall'ABI alla disciplina dell’apprendistato: istituto molto apprezzato nel settore bancario, dove gli apprendisti sono quasi 8.000 e e le assunzioni effettuate attraverso questa tipologia sono circa il 10% del totale.
L'ABI aveva proposto numerose modifiche finalizzate a favorire e a incentivare l’utilizzo dell’istituto destinato, nelle dichiarazioni di intenti, a divenire la “modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”.
Tali richieste riguardavano: l’innalzamento della soglia anagrafica, da 29 a 32 anni, per ampliare la platea di soggetti che possono usufruire dell’istituto; l’elevazione della durata (da 3 a 4 anni); il prolungamento del periodo di prova; il riconoscimento espresso alle aziende che avessero capacità formativa della possibilità di svolgere la formazione integralmente all’interno.
Richieste che non hanno trovato riscontro nel nuovo testo di legge: viceversa, è stato introdotto un “vincolo di stabilizzazione” (50% a regime e 30% per il primo triennio) che tuttavia non dovrebbe comportare di per sé conseguenze pratiche nel settore bancario dove i tassi di conversione dei contratti di apprendistato in lavoro “stabile” sono di fatto altissimi: tuttavia si trasforma in obbligo ciò che era libera scelta delle imprese.
Si inasprisce ulteriormente la contribuzione previdenziale per gli apprendisti per la quota a carico dell’azienda, che passa al complessivo 11,31%, in forza dell’aliquota aggiuntiva del 1,31%: la nuova aliquota entrerà in vigore il 1 gennaio 2013. Fino al 31 dicembre 2012, pertanto, continuerà a trovare applicazione la contribuzione fissa e ridotta del 10%.
In sostanza, con l’entrata in vigore della nuova misura la contribuzione complessiva per gli apprendisti viene elevata del 13%, con un onere aggiuntivo per il sistema stimabile in circa 4 milioni di euro.

Altre tipologie contrattuali

Ulteriori irrigidimenti della normativa di legge hanno riguardato il contratto a progetto, i titolari di partite IVA, il lavoro intermittente e il lavoro accessorio, in particolare per quanto concerne il regime delle “presunzioni” circa la sussistenza (spesso dissimulata) di un rapporto di lavoro subordinato, formalmente inquadrato nell’ambito dell’autonomia.
Un battuta sui tirocini formativi (gli stagisti nel credito sono mediamente circa 1300 risorse) in merito alla cui disciplina è opportuno richiamare la previsione relativa all’obbligo di riconoscere una congrua indennità, anche in forma forfettaria, in relazione alla prestazione svolta: previsione che è destinata ad aggravare il peso dell’utilizzo dell’istituto.

Risoluzione del rapporto di lavoro

La materia dei licenziamenti, e in particolare la profonda modifica del regime sanzionatorio (art. 18 l. n. 300 del 1970), è stata, potremmo dire, il leit motiv dell’intera riforma.
Addirittura, per usare un’iperbole, sul piano mediatico la normativa di riforma del mercato del lavoro è stata, per certi aspetti, vissuta e percepita come una sorta di referendum pro o contra l’articolo 18, quello che lo stesso Ministro del Lavoro ebbe a definire un “totem” del diritto del lavoro.
Il risultato, va detto, non sembra pienamente rispendente alle attese: l’articolo 18 è stato sì riscritto e modificato, ma non con quella forza e con la portata innovativa annunciata.
La nuova disciplina di legge, in qualche modo, capovolge l’impianto precedente, nel quale la “reintegra” costituiva la regola sanzionatoria a fronte di licenziamenti illegittimi disposti nell’ambito di aziende di maggiori dimensioni (unità produttive con più di 15 dipendenti o aziende che complessivamente occupassero più di 60 lavoratori), mentre la tutela risarcitoria (c.d. tutela obbligatoria) rappresentava la misura residuale, applicabile in tutte le altre fattispecie.
Nel mutato quadro normativo la reintegrazione è prevista per ipotesi specifiche (licenziamento nullo, illegittimo per insussistenza del fatto contestato, ovvero per i casi in cui la condotta risulti punibile con sanzioni conservative, se si tratta di licenziamento soggettivo/disciplinare, ovvero per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, se si tratta di licenziamento per motivi oggettivi), mentre nella generalità dei casi a fronte di un licenziamento illegittimo viene prevista una tutela di tipo indennitario, sia pure diversamente modulata.
Nel corso della discussione che ha preceduto l’approvazione della legge, l’attenzione dell'ABI è stata rivolta su altri profili della disciplina dei licenziamenti: su tutti la nuova procedura conciliativa “preventiva” al licenziamento per motivi economici, che il datore di lavoro deve obbligatoriamente esperire e che, per come concepita, è ragionevole ritenere determinerà un irrigidimento della procedura e un appesantimento dei relativi adempimenti. La richiesta dell'ABI era stata nel senso di concepire detta procedura come successiva alla comunicazione del licenziamento e da esperire anche nelle sedi di conciliazione stabilite dalla contrattazione collettiva.
La legge di riforma del mercato del lavoro, inoltre, introduce a carico del datore di lavoro, in tutti i casi di risoluzione del rapporto diversi dalle dimissioni una sorta di “tassa sui licenziamenti” e cioè l’obbligo di versare all’INPS un somma pari al 50% dell’indennità mensile iniziale di Aspi (Assicurazione sociale per l'impiego) per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.
Nel corso del dibattito parlamentare, l'ABI aveva presentato emendamenti anche in tema di licenziamenti collettivi, al fine di introdurre regole volte a semplificare l’attuale procedura, sia nei tempi che nella individuazione dei soggetti sindacali da coinvolgere e, per quanto attiene al regime di tutela, limitare le misure al solo risarcimento.

Qualche osservazione sulla nuova Aspi

Quanto sopra si aggiunge agli oneri che gravano sul sistema per il finanziamento dell’indennità di disoccupazione: contributo dell’1,31% per totale annuo superiore ai 200 ml di euro, che non sono destinati a ridursi all’atto della trasformazione in Aspi. Ciò senza che a tale indennità si faccia ricorso da parte dei lavoratori bancari, posto che le banche hanno fino ad oggi privilegiato il ricorso ad altre misure di tutela del reddito, attraverso le prestazioni del Fondo di solidarietà di settore, senza gravare sulla finanza pubblica.
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