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24 Aprile 2024 / 15:13
eGovernment,  un percorso a ostacoli

 
Imprese

eGovernment, un percorso a ostacoli

di Giuliano, Noci Michele, Benedetti - 14 Giugno 2011
Un’indagine del Politecnico di Milano analizza successi e difficoltà del processo di innovazione della PA. E spiega come sia importante fare sistema con le banche
Ormai dieci anni dall’avvio del primo piano nazionale di eGovernment, sono stati attivati molti progetti volti a ammodernare la pubblica amministrazione locale. Anche in questi ultimi mesi, nonostante le limitate risorse finanziarie disponibili, la spinta all’innovazione non si è arrestata. Dall’indagine condotta dall’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano emerge come nel 2010 più del 75% dei comuni al di sopra dei 15.000 abitanti abbia in corso uno o più progetti di innovazione organizzativa e tecnologica e oltre l’85% intenda avviarne entro i prossimi 12 mesi. Più in particolare, i progetti che prevedono l’attivazione di servizi di pagamento tramite web o altri canali alternativi sono circa il 58% nel caso dei comuni e il 40% per le province, mentre il 64% degli enti locali intervistati ha dichiarato di aver implementato o in corso di realizzazione progetti riguardanti la dematerializzazione dei propri archivi. L’eGovernment non è più inquadrabile come un’azione straordinaria e contingente, ma come una vera e propria attività caratteristica della PA che deve sapersi organizzare in modo da poter gestire questo processo in maniera strutturata e continuativa.

I problemi da superare

Purtroppo più di un terzo dei comuni al di sopra dei 15.000 abitanti non si è però ancora strutturato con un settore innovazione e quasi la metà delle province non ha un rappresentante politico per queste tematiche. Tutto ciò rende ancora più difficile innovare in maniera efficace. Infatti, oltre alle evidenti difficoltà legate al necessario cambiamento organizzativo, si aggiungono una normativa che spesso fatica a supportare adeguatamente il processo di rinnovamento e la mancanza delle adeguate competenze. Mancanza forse comprensibile, visto che in questo momento al personale di un comune, indipendentemente dalla sua dimensione e dalle risorse a propria disposizione, non si chiede solo di gestire al meglio le proprie attività, ma di diventare project manager di un cambiamento che deve passare attraverso l’applicazione di tecnologie per le quali viene richiesto di conoscerne le caratteristiche e le funzionalità, i punti di forza e di debolezza, e le implicazioni organizzative derivanti dal loro impiego. Non ci si può quindi meravigliare se attualmente quasi la metà dei progetti di innovazione non raggiunga più del 25% degli obiettivi prefissati. Questo grado di aleatorietà dei risultati, spesso accompagnata dalla mancata qualificazione e quantificazione dei benefici conseguibili con l’innovazione, non aiuta la classe politica a interessarsi e supportare queste iniziative. È, infatti, indicativo che la principale motivazione (oltre il 77%) per l’attivazione di servizi di pagamento alternativi sia legata alla volontà di offrire un migliore servizio all’utenza mentre solo una minoranza (il 20%) dichiara di farlo per un recupero di efficienza interna. Così che l’assenza di un indirizzo strategico da parte degli amministratori dell’ente (54%) insieme alla scarsità di risorse finanziarie da dedicare al progetto (per il 57% degli intervistati) sono le prime cause che interdicono l’avvio di un progetto di archiviazione elettronica e conservazione sostituiva.

Pochi fondi interni

Emerge infatti che solo il 18% delle iniziative di innovazione delle province e il 16% di quelle dei comuni sono finanziate grazie ai propri fondi, contro quasi il 50% delle iniziative finanziate prevalentemente o solamente da fondi di enti terzi. Questo si ripercuote a volte anche sul mantenimento nel tempo delle soluzioni realizzate. Una volta cessati i finanziamenti, può accadere che l’ente non destini più risorse per la manutenzione ordinaria ed evolutiva delle soluzioni realizzate, cosicché nel 40% dei casi c’è la possibilità che la soluzione venga lentamente ma inesorabilmente dismessa, possibilità che diventa quasi una certezza nel 22% del progetti realizzati in collaborazione con altri enti e nel 12% di quelli realizzati in autonomia. La scelta di mantenere nel tempo queste soluzioni è ovviamente condizionata anche dal loro utilizzo da parte dell’utenza. Utilizzo che, secondo l’ultimo rapporto nazionale, non è particolarmente rilevante. D’altra parte l’utenza usa canali alternativi a quelli tradizionali o perché è costretta o perché ne ha convenienza. Ecco quindi che diventa importante cercare di capire quali siano le reali esigenze della propria utenza e sviluppare servizi che possano effettivamente soddisfare i loro bisogni, anche se più del 40% dei Comuni pare non conduca alcuna indagine strutturata in questo senso.

Migliorare la comunicazione

Non è però sufficiente realizzare servizi funzionali alle esigenze dell’utenza. È necessario che questa sia edotta dell’esistenza di tali servizi. In effetti, quasi il 90% degli Enti dichiara di prevedere una qualche forma di attività di marketing per promuovere i risultati del progetto. Tuttavia ben nel 95% dei casi l’Ente non si avvale di sistemi per misurare l’efficacia delle attività di comunicazione e in quasi il 50% dei casi gli intervistati non hanno saputo dire neanche se qualitativamente ci sono stati degli effetti positivi derivati dalle azioni messe in atto, a dimostrazione che esistono forti margini di miglioramento anche in merito a questi aspetti.

Un processo da supportare

In estrema sintesi, l’indagine condotta dal Politecnico evidenzia quindi come gli enti locali abbiano bisogno di essere maggiormente guidati e supportati nel processo di rinnovamento in atto. L’attuale eGovernment italiano è figlio di una politica di gestione degli incentivi e dei finanziamenti che ha sino a oggi privilegiato, con pregi e difetti, la libera iniziativa e la capacità di innovazione dei singoli enti e, prima ancora, delle persone che li gestiscono. Con pochi vincoli, a volte anche al limite di una normativa non in grado di supportare adeguatamente la spinta innovativa, gli enti più capaci, che hanno saputo sfruttare sapientemente le risorse a propria disposizione, sono stati in grado di generare diverse valide soluzioni. Questi risultati possono diventare un tassello fondamentale per una seconda fase dell’eGovernment nella quale privilegiare una diffusione su larga scala delle migliori iniziative di eGovernment esistenti.
Non esiste però un unico modello organizzativo o tecnologico a cui guardare per innovare nella PA. Vi possono essere notevoli differenze tra due comuni nella gestione della cosa pubblica e nell’erogazione dei servizi all’utenza. Cambiano la dimensione, le risorse a disposizione, ma soprattutto il contesto socio-economico in cui operano. Limi- tarsi a individuare le migliori esperienze e replicarle pedissequamente può essere quindi poco efficace o addirittura controproducente. Esse sono, infatti, il risultato di numerosi e complessi meccanismi, soprattutto organizzativi, che vanno compresi per determinare il loro impatto sui risultati raggiunti.

Dalla Finlandia la best practice

Allo stesso modo è necessario che la PA trovi la capacità di innovarsi guardando anche al privato e al modo di fare con esso sistema. La Finlandia è sicuramente uno dei Paesi più avanzati al mondo per quanto riguarda il processo di informatizzazione della PA. Come in Italia, anche lì è stato affrontato il problema di come fornire ai cittadini un unico strumento di accesso ai servizi messi a disposizione della PA. A differenza dell’Italia, la soluzione è stata però già attuata in modo relativamente semplice e veloce. Questo perché quasi il 90% della popolazione finlandese ha un home banking e quindi un sistema di autenticazione sicura per operare sul web. Al Governo finlandese, è bastato quindi operare attraverso opportuni accordi con il mondo bancario per dare un canale di accesso sicuro ai propri servizi.
È chiaro che un’azione di questo tipo in Italia sarebbe probabilmente più difficile, se non altro per la diversa diffusione dell’home banking. L’esempio finlandese evidenzia bene come il mondo bancario potrebbe giocare un ruolo davvero determinante nell’innovazione del nostro apparato pubblico.
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